La scultura è forma d’arte che non sempre prospera soprattutto in fatto di qualità: in certi momenti della storia, infatti, sembra allontanarsi dall’essere uno dei modi possibili dell’espressione immaginativa dell’uomo per spanenire mera ripetizione di forme della classicità. E’ questa la maledizione che ha sempre pesato, pur in epoche storiche spanerse, sulla scultura (spesso peraltro confusa con la statuaria).
Quando, invece, folta si fa la sua produzione, come in questi tempi recenti e attuali, spanenta pertinente distinguerla e qualificarla come arte capace di dare all’immaginazione inspaniduale – pur storicamente determinata – una realtà materiale in modo specifico.
Nel caso di Enzo Carnebianca – sul cui nome pesa una terribile connotazione scultorea – ha una giustificazione estetica di fondo pe la scelta del suo modo di essere scultore, d’essere artista: sta nella sistemazione, difficile, di alcune componenti che mandano ad efficacia estetica i rapporti metaforici proposti.
In primo luogo, infatti, si rinviene – anche nelle immagini che qui di seguito vi vengono proposte – un biomorfismo che pervade sia la figurazione pittorica che la tridimensionale espressione scultorea; in secondo luogo, vi è manifesto un emblematico passaggio delo spazio dalla sua dimensione reale a forme illusionistiche che comprendono perfino una sorta di miniaturizzazione dello spazio reale; una sorta di traduzione, infine, e modificazione del modellato e del figurativo in forme di presenza delle cose come tali in arte, in forme di scoperta come materia – sempre spanersa – e come forma-colore, tra pittura e scultura.
Arp. Giacometti e Ernst, se dovessimo indicare una piccola e più immediata mappa delle possibili ascendenze d’avanguardia di questo scultore: che lo voglia o no, lui, Carnebianca, tende alla creazione di forme particolari di surrealismo d’oggi: il suo “Cristo”, per esempio, non appartiene alla cultura cattolica, ma a quella surreale (e quindi non teologica).
La sessualità, a volte mascherata da richiami a desideri inconsci, l’uso delle superfici in modo da creare illusione di movimento (al punto che alcuni suoi quadri e, di più, alcune sue sculture danno la sensazione di un moto che possa essere indotto e/o prodotto dal loro interno), la presenza di linee e di forme figurative basate però su un impianto di provenienza astratta, fanno sì che le “figurazioni” sulla tela e le “figurazioni” nel bronzo possano recitare il loro dramma d’arte per l’uomo. E nell’umanità.
Le teste encefaliche, macroencefaliche, o solo bislunghe, insieme alla pelle, aspetto-maschera, che sembrano essere le componenti privilegiate del modo di fare espressione di questo artista sono in realtà meno contenutistiche di quanto vogliano apparire. Le compressioni del cervello, le sue stesse estensioni, come quelle dei volti su cui sembra concentrarsi l’attenzione dello spettatore sono in realtà risolte su un piano assolutamente formale poiché le anatomie e le superfici crostacee che presentano possono essere intese soltanto dall’alto.
E si tratta di incroci e rapporti metaforici, come si diceva, esposti tutti sul piano formale. Soprattutto perchè la loro letteralità e leggibilità è affidata alla “descrizione”. Alla descrizione del movimento: a una sorta di contraddizione in termini in quanto compresenza di staticità e di moto.
Sempre enigmatico, Carnebianca dà alla figura – pittorica o scultorea – un’aria di introversione e strana perversione: l’una e l’altra, sia sulla tela che nella materia, accrescono l’atmosfera d’isolamento, dell’io solitario in primis.
Ed è forse per questo che ci troviamo di fronte ad un artista che è in grado di controllare il suo particolare linguaggio-forma in ambito pittorico. E con la stessa e precipua sicurezza si mostra nel campo della scultura. Forse perché, come scriveva il Vasari,: “La scultura è un’arte, che levando il superfluo dalla materia suggetta la riduce a quella forma di corpo che nella idea dello artefice è disegnata”e prodott da “carne bianca” come, appunto, nel nostro caso.
Natale Antonio Rossi
dell’Università di Roma