ENZO CARNEBIANCA Regione Lazio programma Arte e Cultura 1991/92 Palazzo Rondanini alla Rotonda – Roma I sentieri dell’arte: Lazio 15 luglio – 15 settembre
La scultura come ricerca dell’arte; come irriducibile, estrema figura che segna il transito della materia, il corpo verso la condizione “immateriale”, lo spirito, l’immagine che ritrova tutta la sua intensità e tensione di simbolo, è l’intenzionalità che domina il lavoro e la produzione assai vasta di Enzo Carnebianca. La scultura è per Carnebianca il perno o la cerniera, dove i contrari, gli opposti, uomo-donna, corpo-mondo, finito-infinito, si ritrovano in un loro indissolubile legame, si ritrovano nell’unità della struttura, la struttura essenziale per la quale ogni presenza è e l’archetipo trova la sua incarnazione. Se oggetto è la figura umana, allora è necessario scarnificarla.
La ricerca dell’uomo deve persino dentro l’inspanidualità del ritratto incarnare i tratti dell’uomo eterno, che precede la distinzione e che richiama l’ora dell’androgino. La forma, struttura permanente che recede la distinzione delle razze, la differenza dell’età annulla la distanza tra uomo e donna. Ridotti quasi a scheletro dove la carne si è come essiccata e le ossa e i muscoli traspaiono sotto la pelle sudario ciò che prende corpo è l’immagine irrevocabile che da tempi remoti segna la nascita e oltre penetra nel territorio senza tempo dell’animale, o della germinazione dell’animale in uomo. Ma allora la testa è uovo e assume la dimensione di un grembo di tutto ciò che è evocazione del mistero del nascere e del morire.
Le sculture di Carnebianca non si collocano nello spazio fisico in situazione che con una “dimensione” che rinvia all’universo: sono forme del desiderio, del desiderio irriducibile che anima il sogno e insiste nei percorsi dell’ “eterno ritorno”. C’è una linea interminabile, una trama che incarna l’ansia di assoluto dell’uomo: passa nelle figure della civiltà delle Cicladi nell’equilibrio assoluto di una statua egizia, nelle spaninità dell’Africa. Oggetti-sculture giunti a noi da un’altra riva del tempo, testimoni delle prime fedi, legati in qualche modo al culto e circondati dal silenzio che suscita la prossimità del sacro. Da epoche ancora più remote rese eterne nel fossile per sempre orma e traccia sulla pietra o sotto le sabbie del deserto, dai fondali marini. Tutte forme dell’unica realtà dell’Essere. La ricerca di Carnebianca è tutta volta sotto l’impeto di un’emozione, che è febbre, delirio del sangue, come lui dice “è malattia”, che annulla le distanze e ricompone gli elementi del caos, in forma. Indaga e incide nelle apparenze, nel mistero che circonda ogni apparizione fino a raggiungere qualcosa che provoca turbamento, mette paura soltanto perché noi non sappiamo più vivere la prossimità del sacro.
Ci è ormai estranea, smarriti nel labirinto dei sensi, corpo separato dall’anima privati persino dei nostri sogni, prigionieri del tempo dello spazio, del limite, della morte, cerchiamo la chiave che ci consenta di aprire il muro del mistero. Sotto le mani dello scultore la figura è liberata da tutto ciò che è esito di accadimenti e occasioni effimere, da tutto ciò che è precarietà, instabilità, variazione, in quell’impeto dell’Eros che ancora una volta sa estrarre da tutto ciò la forma. L’immagine depositata dalla creazione nell’anima ed è affermazione di assoluta irriducibile memoria di identità dell’Essere.
Forma essenziale, che visualizza la forma assoluta, testa-uovo, uovo-grembo nel trasmutare il mistero delle origini in immagine di creazione. Il corpo raggiunge il suo punto estremo di equilibrio trova la sua posizione finale nella dimensione del cosmo, raggiunge il moto eterno che traduce la posizione “fetale” in “elevazione”.
Elio Mercuri