LE SCULTURE COSMICHE DI ENZO CARNEBIANCA

Dopo i complicati tentativi di quest’ultimi anni di “definire” o “ridefinire” i momenti essenziali dell’arte visiva, siamo certi di cogliere qualche risultato positivo in una dimensione ipotetica che possiamo chiamare: “morte dell’arte”. In altri termini gli esiti della ricerca attuale, quelli più interessanti, convergono su di un campo che è situato oltre la pittura, oltre la scultura, insomma oltre i dati convenzionali a cui eravamo abituati. Enzo Carnebianca opera ormai da qualche anno sul terreno rischioso ma affascinante della personale invenzione. Come dire che l’opera d’arte deve rispondere non solo alle improrogabili domande estetiche ma anche a tutte quelle che la sensibilità e il bagaglio culturale dell’artista sollecitano. È una strada senza dubbio impervia, che ha solo un dato di partenza, spesso vago e generico. Nel caso di Carnebianca la matrice genetica è costituita da una memoria surrealista. Infatti il “suo” surrealismo è finalizzato alla costruzione di una figura simbolica densa di affollati significati. L’artista romano attraverso una linearità elegante e sofferta raggiunge forme scarnificate di forte tensione spirituale. La “Società dolicocefala” che l’artista rappresenta coi suoi personaggi omologhi non è una comunità di alieni, marziani che hanno invaso la terra all’alba di un’apocalisse, bensì il narcisismo umiliato delle spanerse facce di un uomo che ormai tende all’assoluto. Sono uomini fortemente delusi dalla materialità terrestre, dalle spente illusioni, invano trapassati da false comunicazioni.
Sono assorti non sono assenti, anche l’espressività della forma sembra condurre la linea classica per labirinti di meditazioni mistiche. I personaggi di Enzo assumono posizioni di cultori di “Yoga” o di “Guru”, ma questi aspetti sono dichiaratamente simbolici e non vanno scambiati per ruoli effettivi. Nel pensiero di Carnebianca si agita la vita contemporanea, però gli impulsi e i flussi religiosi prevalgono nettamente sugli schemi delle regole della società civile. A tal punto che l’atmosfera “mistica” del mondo dello scultore non designa mai una ortodossia specifica.
Simboli e segni di religioni diffuse in tutto il mondo concorrono a delineare l’atteggiamento ansioso del “personaggio” modellato dallo scultore. E come dice uno dei suoi critici più acuti Elio Mercuri: “il corpo trova la sua posizione finale nella dimensione del cosmo”. Pertanto la tensione dinamica della linea di Carnebianca prevale sui contenuti ed evita qualsiasi dichiarazione sociologica. Scrive Cesare Vivaldi: “Nella scultura di Carnebianca il soggetto certamente conta, e molto, ma è interamente subordinato alla forma che lo controlla e domina”. Ambedue i critici sostengono dunque la non comune capacità dell’artista romano di far vivere nella espressività figurale delle forme il senso e il destino della propria ricerca. Le sculture di Enzo sognano l’essenza, desiderano l’astrazione e alimentano con la meditazione il mondo della conoscenza. I personaggi non hanno come fine la contemplazione della spaninità, anzi essi sembrano temere l’intrusione metafisica. Aspirano a riconquistare la propria “creatività”, il significato genetico della percezione assoluta. La loro preghiera è scienza dell’universo, si sforzano di condurre l’indistinzione alla totalità, il numero della luce, il mistero alla beatitudine.
Queste considerazioni si traggono dalla vivacità invettiva con cui Carnebianca interviene sul materiale “classico”, trasformandolo attraverso una serie di imprevedibili interventi, in una forma surreale molto originale e trasgressiva. Sulla superficie levigata e armoniosa dell’homo sapiens del prossimo XXI secolo, ancora legato alla tradizione dell’equilibrio terrestre, appaiono congegni misteriosi, chiavi d’oro per aprire il ventre-pianeta, occhi ciclopici-barometri per scrutare uno spazio più ampio che, all’uomo-pensiero, appare ormai come l’ordinaria via nell’infinito, intendendo per “infinito” una ricerca sia umana che estetica oltre i canoni convenzionali, i limiti imposti, le apparenze ingannevoli. Se la parte migliore dell’uomo, la sede della spaninazione, la centrale della vita, se questa parte, per universale consenso, è il cervello, essa ha trovato nelle sculture di Carnebianca la sua maschera inquietante. Infatti la marcata evidenziazione del cervello delle figure costituisce una esplicita ed eloquente scelta del primato intellettuale che l’uomo nuovo vuole assumere per spiccare il volo dalla antica riduttività. Se l’Arca non è ancora giunta a riva, l’uomo contemporaneo deve prepararsi a fabbricarne una per sé e per i suoi simili. Per questa fatica gli occorre la forza dell’intelletto, la capacità cerebrale di penetrare nuovi percorsi sensoriali e nascoste astronomie. Deve essere “uno” pur essendo molti e spanersi. Il cervello impegnato con tutte le sculture nervose può essere il razzo-vettore che porti l’uomo “ad astra”.
Il tendere, l’andare avanti, esprimono chiaramente una “volontà” di assimilarsi alle leggi del cosmo. L’uomo del 2000 si è “scarnificato”, si è progressivamente liberato di una ormai arcaica “terrestrità” fatta di “ideologie”, di pensieri condizionati, di tecnologie efferate. Le “sculture” di Carnebianca hanno assunto un atteggiamento di consapevole universalità. E gli interventi mimetici che donano alle figure una maschera avveniristica formano i contrassegni neostrutturali dell’uomo nuovo. In questa operazione di metamorfosi biologica Carnebianca vi mette insieme alla sua incrollabile fede in un “mondo migliore”, anche un sapiente e ironico gioco di segnali post-tecnologici. Non bisogna infatti dimenticare, l’area in cui agisce, cioè la dimensione ipotetica della “morte dell’arte”, come accennavo all’inizio di questa nota. Questo non significa evadere il problema della presunta “continuità” dell’arte, cioè il suo modo di definirsi ex novo quanto quello di ridefinirsi; il problema per artisti come Carnebianca è quello di poter inspaniduare nell’ambito di una ricerca non propriamente sperimentale la possibilità d’inventare arte con le proprie idee, in propri sogni e gli errori e le utopie. Un impegno umano nel disimpegno di un’arte libera nella personale ricerca, al di là della convenzionalità estetica e della ufficialità storiografica.
Una testimonianza di scultura che nata dal surrealismo si dipana in rivoli multimediali, esperienze diffuse: pop-art, fumetto, espressionismo cinematografico, iconografia popolareggiante di religioni spanerse, fantascienza e aneliti esoterici.

Frascati, ottobre 1992
Vito Riviello