Tratto da “Fermenti” n. 2/1990
Il verde di Enzo Carnebianca è un colore speciale: raramente si trova nei toni della natura, nei paesaggi soprattutto dipinti o nelle gamme delle foglie e delle bandiere. È un verde siderale, lucente e freddo come il verde degli arcobaleni e delle aurore che nascono dal cerchio polare, come il verde che sprizza dalla fiamma ossidrica, insomma è un verde metafisico scaturito dalle proiezioni surreali, un verde da clamidi per le Vestali di Saturno che nessuna donna potrebbe mettersi addosso se non fosse sicura della sua bellezza.
Infatti le donne che popolano i quadri di Carnebianca sono nude, dal corpo agile delle mannequin, spogliate da qualsiasi colore ammiccante, trucco o fastosa pettinatura: sono creature dalle forme affusolate che, nella loro magrezza, esprimono un’intensa sensualità e una profonda concezione del piacere.
Il piacere che nasce e si sviluppa nel pensiero prima che approdi al corpo e questa cerebralità si evidenzia nella forma del cranio, ma così armoniosamente che non spanenta una deformazione ed anzi sembra dare l’avvio a una moda; basta immaginare le parrucche che allungavano le dimensioni della testa di sclerotiche damigelle del secolo degli Illuministi, che sapevano di scienze e di filosofia, come Madame de Stael, poetesse come Giulia de Laspinasse, pittrici come Elisabeth Vigée-Lebrun e Rosalba Carriera, questa fioritura di donne che colpì il caustico Casanova che opinò: “Se queste donne avessero tanto seno quanto cervello la felicità scenderebbe tra gli uomini”. Enzo Carnebianca tratta con delicatezza queste creature ispirate e campeggianti nella sua fantasia: le dipinge, le disegna, le incide e poi le traduce in bronzo per conferir loro il sigillo dell’eternità.
Scultore di vocazione naturale, Carnebianca usa magistralmente il bulino e scava, ribatte, liscia i volumi appena uscite dalla cera persa. Lavora le forme, le fa librare in danze che hanno del balletto l’armonia musicale. La delizia della creazione fiorisce in questo scultore come una perpetua primavera: egli è giovane e carico d’energie, trabocca di sentimenti e le idee non le va a cercare in prestito dai critici che fanno delle parole un’arte: fumosa, ermetica e chiericale. Carnebianca parla con la materia e maggiore è la sensibilità che gli ispira un argomento, più è valida l’opera.
Non chiedergli una scultura agiogratica: se il suggerimento lo seduce, allora ne esce fuori un capolavoro. Ma se la richiesta lo lascia freddo e magari lo scosta da quello che si era ripromesso di fare, non ne sortirà niente perché un artista come lui non si lascia ricattare né imporre da calcoli venali e tanto meno dalla piaggeria di piacere a qualcuno. Fino a che piace a se stesso, sta lì a sudare sulla materia, altrimenti lascia la creta a seccarsi sul cavalletto ed esce tra le libere strade del sogno, a cercare di incontrare se stesso.
Ugo Moretti