Il Tempo, 1981

Prendendo avvio dal titolo di una statua tra le più intense, interessanti e simboliche, intendiamo analizzare non solo l’opera, ma il concetto di tempo in essa racchiuso. Non prima, però, d’aver proposto alcune considerazioni più complessive. Ad iniziare da quella per cui l’idea di tempo è sufficientemente astratta perché altre, chiarendola e chiarendo, quindi, quello stesso assunto figurale, possano starle accanto. Metrica, ritmo, armonia, ad esempio. Locuzioni di maggiore ed esplicita aderenza alla qualità e sintassi dell’immagine. Così come, facendo riferimento alla speculazione su tale concetto, dovrà dirsi ch’esso è, probabilmente, tra gli argomenti di incidenza più forte per lo stesso pensiero filosofico: da Parmenide a Platone ad Aristotele a Kant a Bergson; e per quello, ancora, di non poca letteratura: basterebbe che si alludesse alla “recherche” proustiana. Concetto di tempo – strettamente connesso alla musica – che ovviamente, e per le accezioni di cui s’è detto e per altre ancora cui potrà sempre accennarsi, ha iconograficamente (ma pur diremmo per altre vie) anche interessato l’arte figurativa, a seconda delle situazioni storico-culturali concretandosi, in modi a volte criptici, altre espliciti, altre ancora per sostanziali rimandi da scoprire nell’esito morfologico.
Considerandone verticalmente la questione, non potrà farsi a meno di sottolineare il fatto che il tempo a sua volta rinvia al più volte accennato concetto fondamentale di memoria storica. Una realtà circolare che potrebbe propriamente far riflettere in orizzonte platonico. Era e Sarà. Cosi come È spaniene congiunzione tra tempo, appunto, ed eternità. La memoria. Processo che spazia, chiude in un’unità; processo che altresì consente d’appropriarsi delle vicende del vissuto culturale, tanto necessario, addirittura indispensabile, all’evoluzione del presente. In ogni immagine, foss’anche la più lontana tematicamente dalla chiarezza del riferimento, si coniugano implicitamente le ragioni, teoriche ed oggettive, proprio del tempo. Tanto che altre ipotesi, oltre a quelle accennate, possono avanzarsi. Movimento, stasi, contemplazione, simultaneità, abbrivio, esistenzialità. La stessa malinconia (ci si rammenti di quanto scritto da Erwin Panofsky), risalendo all’identità concettuale Saturno-Tempo. Saturno, figlio di Gaia (la Madre Terra) e Urano (il Cielo), fratello di seconda stirpe dei Titani, padre di Zeus. Ha, nelle immagini classiche – dalle pitture pompeiane a quelle di Rosso Fiorentino, Bronzino ad alcuni disegni di Bernini – una falce ed una clessidra – particolare, quest’ultimo, che potrà obliquamente osservarsi, piegato alle evoluzioni dell’oggi, nella scultura di Carnebianca – ma suoi simboli sono pure una gruccia ed un serpente che si morde la coda. Si comprenderà che l’ambito mitologico consente un ampio sviluppo di soluzioni, tutte esatte innanzi alle narrazioni saturnine. Così, pure legate al Padre Tempo, molte e spanerse rappresentazioni allegoriche. Dall’Età dell’oro, in cui regnava appunto Saturno, alle rappresentazioni di Virtù, Vizio, Astronomia; a quelle di Fetonte, Ercole, Marte; a quelle di Speranza, Fede, Verità, Innocenza, Giustizia; a quelle, altresì, delle Stagioni, di Aurora, del Sole, della Sfera armillare e dell’Universo; della Terra e degli Inferi. Ove Urano gettava ogni suo nuovo nato, per la qual cosa Gaia dette a Saturno una falce per evirare il padre. Ed è dalla spuma prodotta in acqua dai genitali recisi, che nacque Venere: Venere Anadiomene: che sorge dal mare. Tematica, sin qui, considerata in prospettiva altra, e pur in chiave iconografica. Il nostro presente, tuttavia, sembrerebbe a suo modo rifuggire da affabulazioni più o meno mitologiche; da ricerche, ancora, di identificazione soggettiva. Discorso in qualche misura spanerso dovrà, infatti, tentarsi per Il tempo di Carnebianca.
Le cui coordinate appaiono certamente allusive ma non del tutto identificative. Si tratta di una scultura in bronzo del 1981 – pur riconoscendo che quel medesimo concetto, esplicitamente o meno, attraversa tutt’intera la sua immaginazione: si pensa a dipinti come Metamorfosi del 1970 e Vita nel tempo del 1979; così come si pensa a sculture quali Distacco dalla materia del 1977 e Noi e l’origine del 1982 ed Attesa del 1980 – la quale scultura, si diceva, occorrerà affermare che si propone in chiave squisitamente realistico-simbolica. Iconograficamente Carnebianca recupera, evolvendone il senso, il motivo di una sua e citata scultura del 1980: Attesa. Su questa interviene, quindi, per sottrazioni ed accrescimenti. Entrambi considerati in chiaro valore allegorico. Si tratta di un uomo (Di Genova dice di una donna; se si affermasse una natura androgina non ci si allontanerebbe né dal vero né dalla consueta soluzione dello scultore) seduto in meditazione orientale. Già questo riferimento (che sottintende la contemplazione) è di per sé importante in relazione allo specifico tematico. Osservazione di un tempo, vale a dire, che si misura su ampie e profonde prospettive. Qui inserendosi l’ulteriore idea d’una riflessione psicologica che è non di meno determinante al fine di comprendere più compiutamente il significato stesso della scultura. A quella del 1980 Carnebianca sottrae le braccia. E ciò pure potrebbe obliquamente rinviare ad un’ulteriore condizione del tempo, non solo considerato quale “interruzione”, ma quale esatta riflessione in termini, proprio, di memoria storica. Non sarà neppure il caso di rammentare, infatti, che la grande scultura del passato non di rado ci è giunta mutilata delle braccia; altre volte ci è giunta acefala. Rimangono, posate sulle ginocchia tuttavia le mani nell’esatta posizione yoga: pollice e medio uniti a creare una sorta di “cortocircuito”. O, meglio, ad ipotizzare la connessione spazio-tempo.
La materia è resa levigatissima, sì da suggerire le pur minime vibrazioni di un tendine o di un muscolo. Sarebbe sufficiente che si vedessero, ad esempio, le innervature del collo. Formalmente la scultura si dà per soluzione piramidale. Il che, tradotta sul piano la forma, non è che evocazione di un triangolo e, per di più, equilatero. Accezione la quale, a seconda delle culture, assume più di un valore, ognuno dei quali, in ogni caso, convergente. Richiama, da un lato, le idee di spaninità (cioè di eterno, ed è, dunque, significato proprio al tempo), armonia e proporzione (elementi morfologici dell’immagine, fuor di dubbio temporali anch’essi). D’altro canto, secondo gli antichi Maya, il triangolo simboleggiava la fecondità.
Termine che, a sua volta, suggerisce la qualità di un tempo che si riproduce e rigenera. Allo stesso modo in cui non sarà inutile rammentare che nella tradizione ebraica il triangolo equilatero rappresenta Dio. Cioè a dire il tempo assoluto. Il prima, il dopo, il presente. Il tempo senza tempo. Proseguendo nella decrittazione simbolica, non può non rammentarsi l’accezione alchemica del triangolo equilatero. il cui significato è propriamente quello di “cuore”. Traslato che diremmo giunga oltremodo a proposito in considerazione della circostanza che lo scultore ha creato, nel torace del personaggio, un tassello rettangolare, e vuoto, entro cui ha collocato, appesa per un filo e dunque semovibile, una mela morsicata. Indubbiamente, un pendolo. Richiamo ulteriormente forte, quindi, alla concezione del tempo. Ma, anche, riflessione sull’origine. Non è, infatti la mela, tropo del peccato originale, e non è un’altra opera dello scultore intitolata Noi e l’origine, serpente dal volto umano che con volute si aggroviglia ad una sedia? Potremmo dire, perciò, che alcune opere di Carnebianca si leghino reciprocamente, tendendo alla chiarezza di un unico significato. II problema, semmai, sarebbe di capire se tutto ciò nasca consciamente o meno. D’altra parte la molteplicità convergente dei referenti lascerebbe decisamente intendere una non casualità. Per cui, tornando al pendolo e, quindi, al cuore, s’affermerà che sono, probabilmente rese dallo scultore, le ragioni pascaliane le quali è ovvio che si richiamano ad un sempre avvertito sentimento. In questo senso ipotizzando tanto l’oscillazione dei sentimenti, appunto, quanto il loro rafforzamento o raffreddamento, al contrario, col passare ritmato del tempo. La cui concezione viene potenziata razionalmente, dal momento che lo scultore “vede” un orologio incastonato nella fronte del personaggio. Orologio (al di là della sua collocazione nella sede del pensiero e quindi del raziocinio) i cui numeri sono richiamo non solo al tempo ma alla ragione. In quest’ottica, allora, il tempo è tanto sentimento che razionalità, in reciproco scambio ed evoluzione. Carnebianca, nella cui scultura a volte, appaiono, soluzioni formali che idealmente si rifanno proprio al triangolo: per tutti si alluderà alla concezione di Enigma del 1988 (opera in cui intervengono, ma non ci interessano in questo frangente, ulteriori simbolismi) rinvia, dunque, al sentimento e alla ragione o, se si vuole, al sentimento della ragione. Ed è, qui, la riflessione che chiude l’analisi. Gli occhi. L’uno presente, è descritto e policromatico (come negli antichi testi scultorei): l’altro assente. Estroflessione ed introflessione. Come a dire che il personaggio da un lato guarda il mondo, dall’altro scruta se stesso e in se stesso.
È una maniera, questa di Enzo Carnebianca, di interpretare la tematica tanto iconologicamente che iconograficamente.

Domenico Guzzi