Il mito dell’Eros nell’arte di Enzo Carnebianca

È di questi giorni una mostra collettiva che si tiene a Roma nello storico Palazzo Rondanini e che rimarrà aperta fino al 15 settembre.
Le opere del Carnebianca, artista in gran parte marsicano per origini e per adozione, tutte di scultura, occupano una intera sala nonché una grande vetrina d’ingresso. Abbiamo così la possibilità di avere una visione completa dell’iter artistico. In una nota, pubblicata in questa pagina il 23 agosto1983, evidenzia come l’artista gungesse a rappresentare la situazione dell’uomo contemporaneo, che pur nelle grandi conquiste della scienza, rimane prigioniero della sua angoscia esistenziale. Un messaggio per il superamento di una tale condizione disperata, lo si scorgeva nei volti protesi verso l’alto, quasi risucchiati da una forza misteriosa di origine cosmica e che ora prende corpo in una scultura bellissima, La Delfina, forse la più bella opera esposta nella collettiva, sicuramente il capolavoro di Carnebianca. Nulla di più stridente, di macabro, ma una misura dello spazio, un modellato linearmente duttile, una simbologia surreale risolta in ritmi musicali: L’arte dello scultore, nasce dalla intuizione dell’unità dell’Essere, si accosta con tremore alle origini del cosmo e dell’amore, demolisce antiche certezze, per ricostruire poi dai frammenti sparsi nel caos e raggiungere quell’unità primigenia, che trova l’alfa e l’omega nell’eros, che è pura bellezza.

Giuseppe Di Girolamo

Il mito di Eros nell’arte di Enzo Carnebianca

Ebbi già modo di formulare alcuni giudizi critici sull’arte di Enzo Carnebianca in un articolo pubblicato in questa pagina il 23 agosto 1983. L’occasione fu offerta da una Mostra personale di opere di pittura e di scultura, tenutasi a Magliano dei Marsi nel mese di agosto di quell’anno.
Fin da allora evidenziai come la chiave di lettura dell’arte del Carnebianca non fosse tanto da ricercare nei dipinti, pur essi assai notevoli in special modo sotto il profilo tecnico, ma nelle opere di scultura, specialmente là dove l’occhio dell’artista tenta di scrutare ciò che è al di là delle apparenze e della realtà sensibile alla ricerca di una realtà sopransensibile.
A distanza di circa dieci anni tale mia intuizione ha trovato conforto in molteplici giudizi di illustri critici, come Cesare Vivaldi, Luigi Tallarico, Domenico Guzzi, Giuseppe Selvaggi.
È di questi giorni una grande mostra collettiva, che si tiene a Roma nello storico Palazzo Rondanini alla Rotonda e che rimarrà aperta fino al 15 di settembre. La mostra è stata curata da Elio Mercuri per conto della Regione Lazio nell’ambito del Programma Arte e Cultura 1991-1992. Le opere del Carnebianca, tutte di scultura, occupano una intera sala, nonché una grande vetrina all’ingresso. Ci offrono quindi la possibilità di avere una visione abbastanza completa dell’itinerario artistico dello scultore. Nella nota del 1983, nell’evidenziare come l’artista, nello sforzo di dare una risposta all’enigma dell’Essere, giungesse, con le visioni di corpi che si aprono come tute anatomiche per mostrare nell’interno un vuoto pauroso, a rappresentare la situazione tragica dell’uomo contemporaneo, che, pur nelle grandi conquiste della scienza, rimane inchiodato alla sua angoscia esistenziale, mi chiedevo se nella visione del Carnebianca, apparentemente disperata, non vi si potesse intravvedere una speranza di salvezza. Elio Mercuri, nel presentare le opere del Carnebianca alla collettiva, scrive che l’artista “indaga e incide nelle apparenze, nel mistero che circonda ogni apparizione fino a raggiungere qualcosa che provoca turbamento, mette paura soltanto perché non sappiamo vivere la prossimità del sacro. È proprio in questa ricerca del sacro che possiamo intravvedere un messaggio di salvezza, che ci faccia superare l’angoscia del vivere. Messaggio che nella nota del 1983 scorgevo nei volti protesi verso l’alto, quasi risucchiati da una forza misteriosa concretizzantesi in immagini oniriche affioranti dal magma cosmico e che ora prende forma in una scultura bellissima, “la Delfina” forse la più bella opera esposta in tutta la collettiva e sicuramente il capolavoro del Carnebianca. “Nulla più di stridente – scrive Cesare Vivaldi – di macabro, ma una misura dello spazio esatta, un modellato linearmente duttile, una eleganza di stilizzazione che fa pensare agli esempi liberty di un Wildt, una simbologia surreale risolta in cadenze e ritmi aerei e danzanti”.
L’arte di Enzo Carnebianca, secondo una espressione di Giuseppe Selvaggi, nasce dalla intuizione dell’unità di esistere delle cose, si accosta con tremore alle origini del mondo e dell’Amore, da cui i continui riferimenti al tondo-uovo, motivo ricorrente nelle creazioni del nostro, demolisce quindi antiche certezze tanto da darci la sensazione di trovarci in un mondo senza significato, per poi ricomporre, ricostruire gli elementi sparsi dal caos e raggiungere quell’unità primegenia che trova la sua alfa e la sua omega nell’Eros, che è pura bellezza.
Se fosse lecito dare agli artisti dei consigli, mi permetterei di proporre al Carnebianca di dare inizio a una nuova stagione artistica proprio partendo da questa Delfina, che segna il punto culminante di un lungo cammino.
Il successo indiscusso di questo nostro artista, che nella importantissima mostra collettiva di Roma spaniene sempre più internazionale, reca molta soddisfazione ai cittadini di Magliano e di Rosciolo, che vedono in Enzo Carnebianca un proprio concittadino in quanto figlio di una rosciolese, ma anche perché, non tradendo la propria origine, da qualche tempo per le sue creazioni artistiche va prediligendo al più prestigioso studio romano, quello che si è voluto creare nella graziosa Rosciolo.

Giuseppe Di Girolamo