L’ideologia surreale nella pittura è spesso sorretta da simboli consueti: spazi siderali o desertici, uomini-larve, gemmazioni sorprendenti, amebe, anfibi. Un mondo commisto di gerarchie biologiche, misteri vegetali e stupefazioni organiche. Il neosurrealismo di Carnebianca non si sottrae a questo linguaggio simbolico, ma a differenza di altri artisti non si lascia trascinare passivamente nella foresta di simboli nella quale spesso si richiudono gli artisti amanti di avventure romantiche.
L’artista romano cerca invece di dare un nome alle cose che produce o che scopre nella sua ricerca. Egli sa bene che la sua mitologia estetica nasce da uno spazio interiore che va decifrato e riconosciuto. Ovviamente per Carnebianca non si tratta di reperire il senso “reale” del linguaggio artistico, altrimenti si smarrirebbe in un intrico di significati inconsci o incompleti. Come pretendere di spiegare il mistero, un mistero creato poi dalla stessa nostra fantasia. Carnebianca invece cerca con intelligenza nel mare dei simboli le possibili connessioni, le convergenze espressive, identità metaforica col silenzio della eternità. La prova della sua lucidità d’artista è nata dal suo lavoro di scultore in cui viene fuori la linea “genetica” della sua ricerca. Si vedano ad esempio gli uomini-serpenti, il rapporto tra soggetto e oggetto tende ad una plastica unità simbolica. In realtà il simbolo per Carnebianca è una sorta di unità di misura, la sintesi entro la quale si placa, ma solo per riprodursi in un’altra opera, la lotta tra la vita e il nulla, tra l’essere e l’eternità.
1984
Vito Riviello