È stato confermato dalla cultura artistica del nostro tempo, dopo le anticipazioni espresse dagli artisti del romanticismo, che l’arte è magia: che l’arte rende il visibile una manifestazione dell’invisibile. Infatti, attraverso le pratiche che mettono a nudo il sotterraneo e l’irrazionale dell’uomo, l’artista domina gli eventi della natura e restituisce l’unità del dentro-fuori ai rapporti dilacerati delle due spanerse realtà, un tempo lontane, conflittuali. D’altra parte in ogni processo dinamico vi sono sempre polarità contrapposte che rendono possibile l’incontro-scontro tra forze positive e negative e che nello stesso tempo distruggono e costruiscono. In una parola interagiscono dal dentro al fuori e viceversa.
Il fenomeno dipolare può essere paragonato al concetto che Breton, il padre del surrealismo, assimilava alle “due onde che a volta a volta si accavallano” e si fondono, pur rappresentando due poli, l’un l’altro opposti e che nondimeno formano, l’un l’altro, l’unità dinamica dell’onda. D’altronde la carica dipolare che compone la magia dell’enigma affiorante della metafisica, è la componente ineludibile e inscindibile della scultura di Enzo Carnebianca che, mentre si conforma al positivo della tradizione (costruzione non accademica e che si rifà alla crisi classica, senza negarla), nello stesso tempo accetta la trasgressione, trovando nel negativo della espressione “altra” la possibilità di strappare dall’arte il senso codificato dell’abitudine.
La sua costruzione è tesa a dare un senso, mediante il mezzo plastico tradizionale, alle due realtà, non soltanto per scoprire, come voleva De Chirico, il demone in ogni cosa, ma per recuperare alla magia i testi del passato, fuori della “sottigliezza e purezza della sensazione lineare” dechirichiana e nell’ambito dei volumi carrariani. Infatti la sua valenza costruttiva non si discosta dalla rigorosità delle regole plastiche della nostra tradizione (che come si sa non nega la presenza magica del mito, nell’insegnamento martiniano), ma insidia le categorie logiche convenzionali, per dare nuova forma alla surrealtà, cioè a quella metafisica vichiana (più che a quella aristotelica), che porta le “cause prime”, le “cause supreme” aristoteliche, non già dopo quelle fisiche (metà-fisicà), ma nella realtà dell’uomo, nel “mondo delle menti umane”, come aveva detto lo stesso filosofo napoletano.
Talché il riferimento all’autore della “Scienza nuova” non riguarderà la “metafisica astratta”, qual è quella degli “addottrinati” dice Vico, bensì, quella “sentita ed immaginata quale dovett’essere di tai primi uomini, siccome quelli che erano di niuno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorosissime fantasie”. E a proposito dell’affermazione vichiana della poesia legata alla prima infanzia, occorre intenderla “non come una prima età (anagrafica), bensì come il punto di partenza di ogni età”, cioè le “origini”, secondo l’acuto rilievo avanzato da Gentile nella “Filosofia dell’arte”. Ne discende quindi che le “origini” della scultura di Carnebianca si rifanno non tanto al “recupero del museo”, a cui l’estetologo Barilli legava l’esperienza dei metafisici, quanto alla prima età dello spirito, per rintracciare quel meraviglioso e quell’inusitato che gli “addottrinati” ed i “citazionisti” hanno irrimediabilmente perduto.
Avviene così che nella sua scultura “i tempi barbari ritornati” non rispecchiano le forme dei “tempi barbari primi”, ma l’originaria magia del meraviglioso a cui le categorie mnemoniche della cultura hanno disabituato l’uomo di oggi, riprodotto e dedito alla riproposizione del “ruolo” ritornante. Sicché la donna non è tanto rannicchiata nella posizione fetale, anche perché non manca della martiniana “disinvolta sostanza”, offrendo al liquido amniotico l’ “insondabile architettura” delle sue membra, insieme allungate e serrate, quanto è sprofondata nel sonno, in attesa dei mostri.
È risaputo che la famosa incisione di Goya va letta nel senso che è la ragione che convoca nel sonno i mostri. È la ragione che attiva i mostri, non è la vittima.
D’altra parte le figure scheletriche, sproporzionatamente allungate negli arti e nel collo, hanno perduto l’epitelio per mostrare il sistema nervoso, cioè l’invisibile che è visibile in ogni atto dell’uomo. E se è un non-senso vedere una donna bella scorticata fino all’essenziale, è anche vero che visivamente si coglie il senso interno delle cose: il senso dell’uomo, una volta accertato che per Nietzsche l’uomo è “cosa”.
D’altra parte l’identità dell’uomo è legata al suo giubbotto, come pelle che contiene il vuoto, peraltro salvaguardato da una chiusura lampo aperta, per cui nella forma della “cosa”, del “giubbotto”, Carnebianca racchiude (o libera?) i suoi sogni. Sicché la valenza rivelativa del sogno è in definitiva legata al recupero di una forma, di una certa realtà, mentre la forma tradizionale si sfoglia, come buccia epiteliale, in maniera incoerente, scardinando le convenzioni analogiche, che come si sa affermano uno schema alterato o simboleggiato della realtà, in nome della realtà “altra”: la seconda realtà-unitaria del dentro-fuori.
Da qui una “unità” stravagante che mette in risalto non tanto, come è stato detto, il senso “macabro” e dell’orrifico della vita, quanto un humour, insieme impulsivo e liberatorio, inteso come rivolta dello spirito nei confronti dei condizionamenti e come senso di indipendenza, cioè di disadattamento al cospetto delle rappresentazioni convenzionali di una realtà in stato di crisi.
In effetti, la realtà verosimigliante ed i suoi contrari sono in crisi. Per cui Carnebianca, nella sua pittura (che insieme alla scultura costituisce un autonomo momento della sua creazione), raffigura in continuazione un tipo androgino, che i surrealisti hanno definito “primordiale”, nel senso che l’uomo-donna, attraverso la forte attrazione dell’eros, realizza una complementarità assoluta, cioè quell’unità integrale, spirituale e materiale, che era all’origine una sua prerogativa di natura super-umana.
“L’amore – diceva Heine – è un veemente tentativo di deificarci”, sicché attraverso questo “tentativo” Breton ha visto il modo di conferire all’inspaniduo “l’onnipotenza usurpatagli dalla spaninità”. Per riacquistare questa “onnipotenza”, almeno espressiva, Carnebianca ritrae la donna felina, androgina, prodotta da una dissociazione del femminile e perciò complementare all’uomo, a cui si identifica, ma solo attraverso l’eros, in quanto l’unità si identifica nel desiderio e nella passione.
In definitiva è questa identità che conferisce all’opera di Carnebianca il bisogno di conoscenza e di mutamento perpetuo della forma. Se infatti l’amore è lo strumento “perfetto e privilegiato di conoscenza, al pari della poesia e dell’arte”, l’umanità dello spirito che si fa carne (“per reinventare l’amore”) e l’unità della carne che si fa spirito (“per realizzare i sogni più folli”) confermano quel “principio di mutamento perpetuo”, come ha rilevato Breton, che si impadronisce non solo degli oggetti, ma delle idee, “tenendo alla loro liberazione totale, che implica la liberazione dell’uomo”.
Dott. Luigi Tallarico
EX LABORE FORMULA
La scultura multimediale in bronzo, plexiglass e marmo, dal titolo “Ex labore formula”, delinea il profilo dinamico di un uomo che pensa, lavora e imprende.
Gli elementi iconografici richiamano la funzione sinergetica dell’uomo del nostro tempo, mentre i materiali usati rafforzano il concetto che all’esercizio tecnologico sono chiamati ad operare i moderni imprenditori.
E dal momento che la modernità non è estranea ai richiami della tradizione, l’artista ha voluto visivamente restituire alla scultura marchio societario la linearità e il contorno usati in maniera encomiastica dalla medaglistica antica.
In effetti la scultura, insieme logo e trofeo, pur avendo marcato i caratteri plastici, propri di un manufatto da riguardare da tutti i lati, conserva il netto profilo limitare del segno, secondo i canoni dell’arte incisoria della tradizione.
Altri elementi di ragguaglio critico storico si possono riscontrare nell’andamento della formula, che si ispira alla persuasione dell’arte barocca e, soprattutto, al richiamo futurista degli ingranaggi, intesi come noto attivo.
Mentre nei fori sulla superficie dell’ovulo vitale, lo scorporo della materia sta ad indicare, in un corpo scultoreo, la presenza dei valori cromatici, distinti e connessi.
Infine i profilati plastici che richiamano la sigla dell’Ente hanno la funzione di sottolineare l’apertura spaziale, a fronte dell’uomo che imprende, come auspicio produttivo.
Luglio 2004 Dott.
Luigi Tallarico
Critico d’Arte – Perito d’Arte del Tribunale di Roma